mercoledì 12 agosto 2009

Lettera di Nencini sullo Stato del Partito... (da Belgrado, con amore...)

E’ un tempo difficile per la sinistra italiana ed europea.
Noi viviamo una stagione doppiamente delicata. Da oltre un anno fuori dal Parlamento italiano e da un mese senza rappresentanza all’europarlamento, la nostra voce troppo spesso non penetra i quotidiani e l’informazione televisiva. Eppure esistiamo. Negli enti locali, nelle comunità, nelle regioni, in molte associazioni municipali e nazionali, nella buona storia d’Italia.
Esistiamo per la passione di tante compagne e di moltissimi compagni che non abbandonano un progetto e non tradiscono un’identità. Io sono tra questi. Da oggi senza qualche sassolino nelle scarpe e con la conferma di una missione da compiere in vostra compagnia:

1.In un partito piccolo, i doveri precedono i diritti.
Di tanto in tanto leggo sfoghi, offese, accuse spesso senza né capo né coda che si accavallano in rete. A dir la verità, provengono quasi sempre dai soliti noti. Noti per la loro scarsa generosità e per le loro pretese. Opinioni offensive di chi non partecipa da mesi a riunioni degli organi del partito e si affida a un computer anziché al dibattito nei luoghi deputati.
Compagni che portano più di altri responsabilità su quanto accaduto negli anni ’90 e si ergono ancora a Soloni e a Catoni. Non li ho mai visti preoccupati di come si paghi una bolletta telefonica del partito, di come si raccolgano firme per strada sulle nostre campagne pubbliche,
acerbi perfino di un cenno di solidarietà. Vengano critiche e proposte e chi le fa sia disponibile a fare.

2.Tra le bugie che i soliti noti si scambiano, una domina sulle altre. ‘ Il 19 settembre il P.S. si scioglie’. Risposta: tutto falso. Si è aperto invece il tesseramento, procedono – e bene – gli abbonamenti a Mondoperaio, a gennaio tornerà l’Avanti della Domenica. Io il partito
non lo chiudo e non lo preservo nella tristezza di un isolamento letale come fossimo appestati o, peggio, nobili decaduti.

3.La missione: salvare una storia, metterla al servizio di questa Italia e della sinistra riformista, darle un futuro.

Il partito che abbiamo ereditato non era di sana e robusta costituzione. L’impegno che prendo, che segreteria e direzione hanno preso con il consiglio nazionale è di riportare i socialisti nel gioco delle alleanze, concorrere ai prossimi appuntamenti elettorali con ‘SeL’, guardare
con attenzione alle trasformazioni del centro sinistra italiano per renderlo competitivo e vincente.
Chi condivide questa strada è il benvenuto, chi la critica ma ci aiuta a costruire la casa è un ospite, chi ci giudica con presunzione, naviga tra le menzogne e non si arrotola mai le maniche si goda l’estate.

RICCARDO NENCINI

mercoledì 1 luglio 2009

Solidarietà ai ragazzi iraniani!

Per un'alleanza fra il merito e il bisogno (discorso di Claudio Martelli tenuto a Rimini nell'82) alcune parti...

Per un'alleanza riformista fra il merito e il bisogno

L’esigenza che oggi avvertiamo di individuare i soggetti sociali – i sostenitori e gli elettori – del riformismo moderno, questo tema che oggi discutiamo, segue e non precede l’iniziativa politica.

[...]

Cercherò di procedere per approssimazioni successive rispondendo alla domanda: “Chi sono i possibili soggetti sociali del riformismo moderno?”. La prima risposta che mi viene in mente è di guardare nella nostra storia, di chiedersi chi sono stati i riformisti di ieri. Il PSI nacque e crebbe come partito di lavoratori
manuali, di proletari di ogni tipo, e di ceto medio intellettuale e progressista del Nord e del Sud Italia. Insieme questi socialisti intendevano definire, rispetto alle contese interne alla borghesia, un nuovo terreno di azione politica, altre speranze, altre volontà, altri cambiamenti.
Il PSI nacque come partito di popolo e come partito colto ed espresse la fusione dei suoi elementi costitutivi ponendo i suoi fini di emancipazione economica e sociale sul terreno democratico e i fini di una vera giustizia sul terreno libertario. Nacque associando, federando, affratellando uomini e donne, singoli e gruppi, non intorno a dogmi né a rigide organizzazioni, ma intorno alla povera gente, a ideali e programmi illuminati dalla ragione critica e dalla fede in un avvenire migliore. Nacque perché Turati ed altri con lui lo fecero nascere. Se avessero atteso il filosofo Labriola non sarebbe nato mai.
Nacque e si formò a cavallo di due secoli nel vivo delle temperie sociali e politiche, non per realizzare il piano prestabilito di un nuovo mondo, ma per riparare torti e perché venissero superate
le condizioni che potevano perpetuare i torti che erano sotto gli occhi di chiunque volesse vedere.
Nacque come sezione italiana dell’Internazionale socialista nel concerto dei partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti europei, concerto assai poco intonato perché attraversato anch’esso da esperienze diverse, da insegnamenti diversi.
Più solida e coerente era e rimase a lungo la scuola marxista nella quale pure sono riconoscibili concetti filoni financo rivali. Ma il marxismo non è stato né l’unica dottrina né l’esperienza dominante del socialismo europeo occidentale. Quando, sul terreno marxista e secondo proprie esigenze, il leninismo, separatosi
dalla Seconda Internazionale, lottò per definire un modello di partito, di Stato e di società autonomi dal capitalismo – come dice Berlinguer – e dalle democrazie occidentali, approdò alla edificazione della forma più moderna di dispotismo. Il riformismo storico dunque nasce dall’incontro tra le attese e le speranze del mondo del lavoro e le idee, i progetti di uomini e di donne che provenivano dalle fila stesse della borghesia. E il riformismo moderno? Qual’è la continuità e qual’è la novità?

[...]

A chi ci rivolgiamo?
La nostra proposta si rivolge innanzitutto a chi può agire, ai soggetti sociali oggi capaci di autonomia e di decisione, di nuove decisioni, di scelte e di movimento o libero o, in diversa misura, necessitato. Vi sono soggetti sociali così imprigionati ed identificati con la forza delle organizzazioni cui hanno dato vita,
così paralizzati dalla immobilità dei loro referenti o ispiratori culturali, ed anche soggetti sociali così interessati al puro e semplice perpetuarsi dell’ordine e del disordine esistenti, da essere impermeabili alle nostre ragioni e anche a tutte le nostre speranze di un dialogo per il meglio.
E vi sono anche soggetti sociali per i quali noi siamo –senza che noi lo si voglia- i nuovi gattopardi: l’assicurazione che qualcosa cambierà purchè tutto resti uguale. Noi li possiamo assicurareche si sbagliano.
Ma vi sono milioni di persone –persona è appunto l’unità irripetibile di individuo, di cultura, di socialità e di rappresentazione- cui naturalmente si rivolge la nostra proposta. Chi sono?
Penso che i soggetti sociali del riformismo siano tutti coloro che sono posti nelle condizioni determinate dal bisogno e tutti gli individui o le persone possessori di un merito. Quale che sia il bisogno e quale che sia il merito, soltanto chi può agire perché vuole o perché deve è destinatario delle azioni di riforma e di cambiamento, perché partecipa alla rivoluzione in atto, partecipa alle diverse rivoluzioni che si vanno compiendo o preparando alle soglie del 2000.
Il senso dell’alleanza riformista e socialista è e non può non essere nella sua essenza altro se non questo: l’alleanza tra il merito e il bisogno. Le donne e gli uomini di merito, di talento, di capacità, sono le persone utili a sé e utili agli altri, coloro che progrediscono e fanno progredire un insieme o un’intera società con il loro lavoro, con la loro immaginazione, con la loro creatività, con il produrre più conoscenze: sono coloro che possono agire.
Le donne e gli uomini immersi nel bisogno sono le persone che non sono poste in grado di essere utili a sé e agli altri, coloro che sono emarginati o dal lavoro o dalla conoscenza o dagli affetti o dalla salute: sono coloro che devono agire. Senza tener ferma questa alleanza, questa duplicità di destinatari, il riformismo moderno rischierebbe di degenerare in opportunismo, o di rifluire nel classico massimalismo.
Ancora, se separiamo il merito dal bisogno, il riformismo diviene o tecnocrazia o assistenzialismo; se invece uniamo o alleiamo il merito ed il bisogno, il riformismo moderno può produrre una svolta all’altezza dei tempi, può interpretare il tempo, può governare il cambiamento.
Ho usato volutamente delle categorie povere, delle categorie semplici. L’eclissi del marxismo può aprire la strada ad una restaurazione borghese e ad una ribellione anarchica o corporativa.
Il solo modo di evitare da sinistra entrambi i corni del dilemma della tecnocrazia e dell’assistenzialismo mi sembra risiedere nell’umiltà di ricominciare con l’empiria, con le categorie povere di storia culturale: l’individuo; l’individuo che può o che deve agire; gli individui e le persone dotate di merito o sottoposte al bisogno; la natura da cui non dobbiamo più difenderci ma che dobbiamo difendere da noi stessi; le tecniche che possono consentirci la cura dell’umanità e la cura del mondo naturale; la cura dei bambini e delle madri e degli anziani; la nostra salute.

Chi può agire
Chi sono gli individui o le persone di merito ? Chi può agire nella società contemporanea ? Certo, può agire chi ha, il ricco, il ricco di sempre, il rentier o il capitalista: non è a lui che ci rivolgiamo giacchè la massima delle sue azioni sarà pur sempre ispirata all’idea di conservare le condizioni del suo privilegio, e anziché aiutare a governare il cambiamento proporrà di governare il passato e di impedire che il presente partorisca
il nuovo. Ma la società contemporanea, la nuova stratificazione sociale, la rivoluzione prodotta dalla innovazione tecnologica, l’innovazione scientifica e le applicazioni industriali, il processo di acculturazione che ha investito milioni di individui, la diffusione del sapere e delle informazioni, l’universo della comunicazione e della conoscenza, la disponibilità della società moderna ad accogliere –dall’artigianato all’elettronica-
l’abbinamento di produttività e di creatività, hanno creato una nuova multiforme figura sociale: l’individuo che
detiene un sapere, l’individuo che conosce delle tecniche, delle procedure, l’individuo che ha una professionalità, l’individuo che governa i meccanismi della riproduzione sociale
e della produzione industriale, la trasmissione e l’innovazione della cultura, delle conoscenze, delle mode e dei costumi, l’individuo che padroneggia la sua giornata, la sua settimana,
il suo tempo libero, la sua istruzione e quella dei suoi figli, le sue vacanze e i suoi consumi: la persona che non si riduce alle opere ma che accetta di essere misurato anche dalle sue opere e dai loro effetti.

[...]

Chi deve agire
Parlando dei bambini ci siamo avvicinati al secondo grande soggetto del riformismo moderno, il mondo dei bisogni. Questo mondo cui si rivolge l’ipotesi riformista per rappresentarlo, per esprimerlo, per dargli soddisfazione, è il mondo degli emarginati di sempre e di oggi: è il mondo di coloro che devono agire per cambiare. Il mondo del bisogno non è una deamicisiana pappa del cuore. Le monete che tintinnano nelle tasche di Garrone che si avvia a far visita all’ospedale all’amico povero hanno un suono diverso dai sussurri e dalle grida che provengono dal mondo del bisogno.
Come si definisce il mondo del bisogno ? Certo si possono enumerare per grandi categorie coloro che ne fanno parte. Lo faccio per necessità, ma mi scuso per questo repertorio che non ha lo scopo di suscitare pietà ma di suscitare verità. Penso ai carcerati, agli alcolizzati, ai tossicodipendenti, alla follia, ai malati, agli handicappati, agli anziani, ai minimi pensionabili senza una famiglia che se li prenda in cura, ai bambini appunto, alle donne ed agli uomini che sono soli e non vorrebbero essere soli, ai giovani ed alle ragazze che bussano al mercato del lavoro e non riescono a varcarne la soglia, che cercano una casa per sposarsi e devono rinviare il matrimonio, che sono esclusi dalla cultura e dal benessere.
Il mondo del bisogno somma le vecchie e le nuove povertà ma comprende anche altro, comprende anche povertà non economiche, povertà non di merito o di spirito. Esso ha in realtà un altro e solo un altro minimo comun denominatore, qualcosa che abbiamo smesso persino di nominare: il dolore. Non che altrove il dolore non ci sia, ma nel mondo del bisogno il dolore c’è sempre. Milton diceva: “Il dolore è miseria perfetta”, forse non così ma certo il dolore è un compagno inseparabile della miseria. Nella memoria del movimento operaio l’esperienza del dolore è la più frequente e, in un certo senso, è la più alta, soprattutto in quanto da essa scaturì anche l’esperienza della solidarietà. Dolore, solidarietà, liberazione: questa sequenza scandisce il ritmo delle lotte storiche del socialismo.

[...]

Conclusione
A coloro che ci chiedono di dichiarare con chi pensiamo di poter realizzare un programma così ambizioso noi rispondiamo: con le forze laiche e socialiste e nel rapporto contrattuale
con la DC. A quanti, da sinistra, obiettano: “Ma la DC non ve lo consentirà mai”, noi rispondiamo: “Stia attenta piuttosto la DC a non tirare troppo la corda con noi e a non rompere con i socialisti. Potrebbe trovarsi senza corda e senza socialisti”.

A coloro che insistono che un programma simile non avrà mai gambe senza l’alternativa di sinistra noi rispondiamo che senza idee chiare non solo non si può camminare, ma –ciò che è peggio- non si può né pensare né comunicare. Ai compagni comunisti che si arrabbiano perché non partecipiamo alla caccia al tesoro della terza via noi confessiamo il nostro imbarazzo. E’ da quando non andiamo più al catechismo che non sentiamo più la pretesa di dedurre una cosa dal suo nome. Indicateci prima la cosa e noi vi diremo se siamo d’accordo sulla cosa e poi anche sul nome.

A voi, care compagne e cari compagni che ci avete seguito per quattro giorni con un’attenzione al di là di ogni aspettativa e che siete –come dire- gli agenti sociali e politici del riformismo moderno; a tutti coloro che guardano con simpatia, con interesse e anche con qualche perplessità a questo nuovo corso socialista; alla maggioranza riformista sommersa che c’è nel paese e che è composta da quanti hanno merito e da quanti hanno bisogno; ai giovani sotto i vent’anni che ci guardano come strani animali, la testa piena di pensieri, in parte nuovi ed in parte antichi; alle donne che in casa o nel lavoro stanno compiendo la più lenta, la più mite e la più straordinaria delle rivoluzioni; ai reduci, ai dispersi, agli apocalittici, agli integrati delle generazioni del ’68 e del ’77, alla maggioranza riformista sommersa; a voi vogliamo dire: la vostra tensione se era autentica, la vostra immaginazione se davvero pensava in grande, quella stessa risata che doveva seppellire il sistema, di tutto questo abbiamo bisogno. Non per produrre confusione, non per produrre macerie, ma perché non vi siano più anni di piombo e per produrre i cambiamenti utili e possibili per governare bene l’Italia.

Venite a darci una mano. Noi siamo il Partito socialista, un partito libero e aperto, un partito che ha una voglia matta di far politica, siamo il partito dei moderni ed il partito di un’antica plebe che ha spezzato tutte le sue catene.

martedì 2 giugno 2009

Sosteniamo Jacopo Perazzoli, candidato nel Collegio 29 a Milano


Jacopo Perazzoli è nato a Rho il 7 giugno 1986. Sempre vissuto a Cornaredo, dopo aver conseguito il diploma di maturità linguistica presso il civico liceo linguistico Alessandro Manzoni di Milano nel 2005, ha intrapreso gli studi universitari iscrivendosi alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano. Nel febbraio 2009 si è laureato col massimo dei voti in scienze storiche, elaborando una tesi sul Progetto per l’alternativa socialista. Parallelamente all’avvio degli studi universitari è sbocciata la passione per la politica. Inizialmente è entrato nel direttivo della sezione dello SDI di Cornaredo. In seguito, durante i lavori del I congresso nazionale del Partito Socialista, è stato eletto nel direttivo provinciale di Milano e nell’assemblea regionale lombarda. È inoltre impegnato nella FGS (Federazione dei Giovani Socialisti) di Milano. Nell’ambito dell’impegno con la federazione giovanile ha partecipato, in qualità di delegato nazionale, ad un convegno sul rapporto tra giovani e mondo del lavoro organizzato dal PSE presso la sede del Parlamento Europeo di Bruxelles. Attualmente, oltre alla continuazione degli studi universitari e all’attività politica, collabora con la casa editrice M & B Publishing per la messa a punto di un archivio del PSI milanese del secondo dopoguerra.  


martedì 26 maggio 2009

Riflessioni sull’Università

Si parla nuovamente di università e inevitabilmente scoppia la polemica. Supportata, questa volta, dalla guerriglia urbana. Perché queste sono le notizie che giungono da Torino: cariche, bastonate, sassi, uova che volano, scontri. 
Si parla di Università e i giovani insorgono. O, almeno, una parte dei giovani. Non capisco. Quando l’Università è un argomento che non tira e non compare sui giornali nessuno ne parla; al primo accenno scoppia il putiferio, le grida e le urla si moltiplicano. E’ un argomento caldo. Anzi, rovente. Sull’Università si basa la “scommessa” sul nostro futuro, su noi stessi. Cosa intendo? Ricercatori, studiosi, professionisti, dirigenti, professori, ecc.. Senza di loro, senza di noi studenti, manca una parte notevole della forza propulsiva di un Paese. Eppure, da noi, questo luogo di riscatto e formazione è minato in più punti alle fondamenta.
Durante la conferenza dei Rettori a Torino, riporta il Corriere della Sera, l’idea che spicca è la considerazione che si ha del sistema universitario come “fattore strategico” e del tentativo di ricercare soluzioni ai gravi problemi e debolezze che l’attraversano. Come rispondono i giovani? Urlano? No: troppo facile confondere le frange estremiste con gli studenti che nell’Università credono, sperano, s’impegnano. No: noi stiamo in silenzio. E’ questo il problema, è questa la grave situazione dell’Università: le idee ci sono, molti ne hanno e magari tra loro ne parlano, ma nessuna voce si leva. Si discute, magari a gruppi, ma nessuna proposta arriva in alto. 
L’intenzione di una riforma dal basso è meravigliosa. Spingere gli studenti a discutere, farne la propulsione, la fucina di idee nuove ed innovative sarebbe il punto di svolta. Problema: chi urla e ha la voce grossa copre gli altri. E molto spesso chi urla e ha la voce grossa confonde la lotta per la conservazione delle briciole come la rivoluzione, la guerriglia urbana come il tramite più efficace di discussione. Gli obiettivi si perdono, si confondono, scompaiono tra i vortici dell’ideologia e dell’ignoranza. Parole vuote, frasi miopi coprono idee geniali, innovative, tentativi di sfuggire agli schemi di sempre. Propongo un esempio: ricordiamo tutti i fatti di Ottobre-Novembre 2008? Sembrava un nuovo ’68 con tanto di manifestazioni e occupazioni continue. Senza entrare nel merito della forma e dei risultati della protesta, ricordo contro cosa si protestava: la riforma Gelmini. Come si può sperare di portare cambiamento quando si confondono gli obiettivi della protesta? Qualcuno alzò la voce quando i tagli (quelli veri) si inserirono silenziosamente nella Finanziaria votata in estate di quell’anno? No. Ma quando apparve la legge 133 il cui articolo della ministra dell’Istruzione prevedeva la possibilità di trasformazione degli atenei pubblici in fondazioni private, scoppiò la rivolta. Rivolta che, per quanto ricordo, non portò proposte o nuove idee. Non entro oltre nel commento delle vicende: né la Finanziaria né la Gelmini mi convinsero che l’attuale Governo stesse lavorando per migliorare l’Università pubblica. E oggi non ho certo cambiato idea.
L’idea è questa: quali modi, quali mezzi, quali strumenti per migliorare l’Università? Per incrementare efficienza, meritocrazia, ricerca e formazione, come agire? Io parlo, ad esempio, di Università a numero chiuso per tutte le facoltà fino ad un tetto massimo di assorbimento da parte dell’Ateneo: aumenta l’efficienza (aule meno affollate, burocrazia più snella, meritocrazia più efficace..). Ma è solo una proposta, una delle tante che si possono discutere. Io ne posso immaginare qualcuna, tutti noi ne possiamo portare altre, ma qual è, alla fine, la voce che di noi si sente? La guerriglia urbana? Le urla? Le grida confusionarie di ideologie o preconcetti immutati da troppo tempo? 
Possiamo permetterci di più, volare più in alto con il pensiero, fare proposte più audaci, creare un dibattito migliore tra tutti noi. O, almeno, questa è la mia idea.

Alessio Mazzucco

domenica 17 maggio 2009

VENDESI TERRITORIO ITALIANO

Ormai si sa, è crisi. E allora servono misure per contrastarla. Sostegno ai più poveri, ammortizzatori sociali, sostegno ai settori produttivi in crisi e adesso anche deregolazione in materia edilizia, che secondo il governo dovrebbe far rinascere le sorti del settore delle costruzioni e quindi sostenere il PIL Italiano, oggi in calo.

 

Ma quanto proposto dal governo per risollevare l’economia desta qualche dubbio: un piano per l’edilizia (chiamarlo “piano casa” sarebbe un insulto) che utilizza la deregolamentazione quale incentivo per attivare cantieri e lavori sul patrimonio edilizio esistente. La materia è di competenza regionale, ad eccezione dei principi, ed al momento in cui il Lanterna va in stampa è stato raggiunto un accordo tra Governo e Regioni, vincolante per quest’ultime, ma non è stato scelto lo strumento da presentare in parlamento (disegno di legge o decreto legge).

 

In base all’accordo raggiunto il 1 Aprile, che come spiegato dalla stampa avrà un impatto più limitato rispetto alla bozza precedente, da un lato si vuole rendere più celere l'ottenimento del permesso di costruire, sostituendolo con un'autocertificazione (la Denuncia di Inizio Attività, già in vigore per interventi edilizi minori), dall'altro si vuole consentire in caso di una ristrutturazione di una villetta mono o bifamiliare, un aumento di volumetrie del 20%, mentre nel caso di demolizione e ricostruzione di un condominio con tecniche di bioedilizia è previsto un premio del 35% di volume. Tali aumenti, che avrebbero un limite di 200 mc, avverrebbero secondo l’accordo in deroga ai piani urbanistici, anche se le regioni potranno individuare degli ambiti ove limitare queste trasformazioni. Infine, per chi decide di realizzare le modifiche volumetriche per la propria abitazione sarebbe previsto un ulteriore premio consistente nella riduzione del 50 %  del normale contributo destinato al comune calcolato sul costo di costruzione.

 

Un primo commento riguarda l'abolizione, per questo tipo di lavori, della licenza edilizia, che  lascia qualche dubbio sulla reale necessità di una semplificazione in questo senso, dimostrato dall'attività edilizia molto intensa degli ultimi anni, seppur con le vecchie norme.

 

D'altra parte non bisogna dimenticare che il territorio ed il paesaggio sono beni comuni, che quindi appartengono alla collettività, a differenza dei suoli, che possono essere di proprietà privata. Per cui se ad ogni proprietario, con deroga al piano urbanistico, viene consentito di aumentare il volume della sua villetta - sia essa in area urbana, montana o sulla costa -  con volumi maggiori, si producono esternalità negative, cioè si procurano conseguenze negative a spese della collettività.

 

Le tante dichiarazioni dei sostenitori di questo provvedimento sembrano dimenticarsi questi fondamentali principi, sostenendo una grande operazione di raccolta di consenso politico basata sul principio che a casa propria si può fare quello che si vuole e su una falsa contrapposizione tra i vincoli normativi (spesso necessari per limitare le esternalità negative e tutelare i beni comuni) e la libertà.

 

Per cui anche se fosse vero che questa mossa sia la carta vincente per sollevare il paese dalla crisi,  d'altra parte realizzarla in modo generalizzato risulterebbe un'inaccettabile messa a repentaglio del territorio del nostro paese, già sufficientemente urbanizzato in modo spesso insostenibile.

Lasciamo ai paesi in via di sviluppo la crescita del PIL con l'espansione edilizia incontrollata e pensiamo a realizzare uno sviluppo sostenibile che garantisca anche alle generazioni future adeguate risorse territoriali.


Denis Gervasoni  (tratto da lanterna numero 28)

giovedì 14 maggio 2009

Congresso Fgs Lombardia




Si è svolto domenica 10 maggio il congresso dei giovani socialisti lombardi, giornata dedicata al dibattito sullo sviluppo della politica giovanile sul nostro territorio, conclusasi positivamente grazie al prezioso lavoro dei giovani compagni di milano, padroni di casa, e  grazie alla numerosa partecipazione di compagne e compagni che hanno contribuito a rendere proficui i lavori congressuali.

Un nuovo inizio genera sempre entusiasmo e partecipazione, da questo congresso è emersa la volontà di convogliare questo diffuso e fondamentale coinvolgimento verso una politica giovanile fatta di proposte concrete e di iniziative sulla regione. Se in un momento tanto critico ci permettiamo di guardare al futuro con serenità e ambizione è perché in questi anni si è lavorato bene, il ringraziamento nei confronti del segretario uscente Marco Alberio è quindi doveroso quanto scontato.  Se siamo sereni e ambiziosi però è anche per la diffusa presenza di valide compagne e compagni che lavorano sul territorio con determinazione e costanza, nonostante le tante difficoltà date dal continuo confronto con forze più grandi e maggiormente radicate. Un nuovo inizio dunque, possibile grazie alle solide fondamenta, alla presenza di compagni volenterosi e capaci e, siamo sicuri, al futuro supporto del partito e dei dirigenti nazionali della giovanile.

Dirsi ottimisti non significa però non essere consapevoli di quanto sarà impegnativo tenere fede agli impegni che ci siamo preposti.Crescere nei numeri,dare visibilità alle nostre iniziative,cercando di renderle sempre propositive e mai antagoniste, riscoprire la cultura riformista diffusa sulla nostra regione, tornare a darle vigore col coraggio di chi non ha nulla da perdere saranno i nostri imperativi. Riscoprirsi utili e finalmente concreti sarà la miglior risposta a chi considera un nobile lusso la presenza di una giovanile in un piccolo ma importante partito come il nostro.

Concludo ringraziando, in rigoroso ordine di intervento tutte le compagne e i compagni che sono intervenuti:

Nicolò Calabro ( fgs milano), Lorenzo Cinquepalmi (federazione Brescia PS), Carlo Maria Palermo                               ( presidente della gioventù federalista per la lombardia), Giuseppe Potenza ( segretario fgs emilia romagna) Roberto Vertemati ( segretario provinciale PS Monza e Brianza) Tommaso Greco (socialista indipendente) Giacomo Marossi ( segretario fgs Milano) Brando Benifei ( vicepresidente Ecosy) Antonio Califano ( segretario provinciale fgs Pavia) Alessio Mazzucco ( fgs Milano) Paola Bressanelli ( fgs Brescia) Marco Del Ciello ( radicali ) Matteo Pugliese (segretario fgs Liguria) Pia Locatelli (Europarlamentare e presidente Internazionale Socialista Donne) Roberto Biscardini ( Consiglio nazionale PS) Marco Alberio ( segretario uscente fgs Lombardia)  Valentina Morelli ( segretario regionale PS Lombardia) Luigi Iorio ( segretario nazionale fgs) Felice Besostri ( presidente circolo La riforma, PS) Valerio Federico ( segretario dell’associazione radicale “ Enzo Tortora”  di Milano)

Edoardo Paschetta segretario fgs Lombardia

martedì 12 maggio 2009

Congresso regionale: prime impressioni

Il primo congresso di quella che possiamo ormai definire senza fallo la nuova gestione dell’FGS Lombardia si è svolto e concluso oggi.

Non intendo entrare nel merito dei vari interventi, ne disquisire della caratura dei partecipanti. Mi limito a rinnovare la stima e il ringraziamento che già è stato oggi espresso. Questo congresso non sarebbe certo venuto così bene se fosse mancato anche solo una delle persone accorse.

Vorrei soffermarmi invece sul clima.

 

E’ stato piacevole oggi vedere un meccanismo naturalmente dispersivo e divagante come può essere solo un congresso socialista (dove tutti possono chiedere la parola sempre e nessuno può esser tacciato perché fuori tema) sforare solo di due ore mantenendo comunque un’atmosfera di partecipazione ed ottimismo anche nei momenti di maggior esasperazione (per il pranzo che si allontanava, il calore crescente della sala senza finestre e condizionatore nel quale tutto si è svolto, il panico nel vedere “i due interventi che mancano” diventare quattro ecc.)

 

Oggi si è dato inizio a un nuovo corso che si spera possa portare la FGS a farsi conoscere e apprezzare in Lombardia e, quel che è più importante, a far conoscere, attraverso la FGS, il Socialismo in Lombardia e far si che questa idea politica che ci appartiene possa portare soccorso, sollievo, e, perché no abbandoniamoci alla retorica per una volta, speranza, ai cittadini del nostro territorio attraverso le azioni dei socialisti e mostrando che una alternativa politica seria esiste.

 

Non è un percorso semplice. Le nostre risorse sono scarse, i nostri avversari se non sono migliori sono comunque più numerosi e radicati, il clima sociale è avverso alla discussione politica, preferendo la discussione sulla politica (denigrante, sminuente, semplificante) e i socialisti pagano ancora presso la gente le colpe del passato e presso i colleghi della politica l’essere socialisti; quindi concreti e quindi esterni al gioco della semplificazione che oggi attraversa trasversalmente le forze politiche del Paese.

 

Tutti i presenti oggi al congresso erano consci di questo stato di cose, del nostro obiettivo e delle difficoltà che dovremo affrontare, e nonostante questa coscienza non son venuti a mancare l’entusiasmo e la volontà, l’allegria e la serietà (che non va vista come avversa all’allegria pena lo scadere nella seriosità: inizio della fine d’ogni progresso).

 

Edoardo, che è stato eletto quasi all’unanimità (contrari Marossi e Parini, astenuti Parini e Marossi) nuovo Segretario Regionale, è un ottimo esponente dello spirito col quale la FGS si è avviata, ha vissuto e si porrà dopo questo congresso. Egli incarna la coscienza e i sentimenti di cui sopra aggiungendovi una determinazione, uno spirito d’iniziativa e di comprensione che ci rassicurano sul fatto che svolgerà bene il proprio lavoro. Ma visto che questo non vuole essere neanche una disquisizione sul nuovo segretario mi fermo qui.

 

Quello che conta davvero è che oggi la FGS Lombardia ha fatto il punto della situazione, ha tracciato una linea di partenza e ha preso con decisione il testimone della causa Socialista, ponendosi Edo come apripista di questa sua maratona, senza illusioni ma con speranza, esprimendo decisamente la sua voglia di crescere per fare bene, per migliorare costantemente.

 

Ancora grazie a tutti. Adesso comincia il viaggio periglioso e difficile, ma il varo della nostra nave non poteva essere migliore.

 

Marco Parini 

lunedì 11 maggio 2009

Brevi Riflessioni Sul Significato Di Politica

Che cos’è la politica? Sembra la classica domanda da un milione di dollari. In effetti lo è: come definire un fenomeno tanto complesso, così ricco di sfaccettature e aspetti diversi? Credo sia impossibile. Ma provare a darne una spiegazione, un’opinione personale, lo stesso porsi la domanda, credo sia normale, fisiologico quasi. Quindi cos’è questa politica?

Anzitutto vorrei lasciarmi alle spalle l’accezione negativa del termine o, meglio, quella che io considero l’accezione negativa del termine. Dire politica non significa dire giochi di potere, compromessi, promesse mancate, campagne elettorali e seggi, scontri, parole dette e non dette, linguaggi assurdi e incomprensibili. In parte, in realtà, può voler significare anche questo, ma non è mia intenzione sottolineare, al momento, questo aspetto.

Non definirò ora cosa significa per me politica in senso storico o filosofico. Cercherò di darne una visione compatibile con la vita di tutti giorni.

La politica è niente più di uno strumento per regolare e oliare gli ingranaggi della macchina sociale. La politica rientra in ogni aspetto della vita sotto forma di idee, opinioni, discussioni e iniziative; ed è molto triste che si veda la politica come attività partitica. Io cercherei di definirla più come “coscienza sociale”. Non è un termine politichese: lo giuro. E non significa “coscienza di classe” né ha qualsiasi altra accezione strana. Il significato che ne do è molto più semplice: “coscienza sociale” indica la volontà di miglioramento, di crescita, di perfezionamento che la società fa di se stessa. Sentirsi parte di una società, di un gruppo sociale, di una comunità (so che sto ripetendo di continuo il termine “società”, ma è cardine del mio pensiero) significa individuarne i problemi, crearsi delle opinioni, discuterne con chi ne ha diverse e dare vita a iniziative volte a risolverli. “Coscienza sociale” significa politica dal basso, dalla società, nella società; significa impegnarsi per qualcosa di nuovo, qualcosa migliore.

Io credo sia questa la politica. E credo che, al giorno d’oggi, nel nostro Paese, sia molto arduo darne una lettura positiva tanta è la disillusione, il cinismo, la delusione. E non è certo colpa nostra o, almeno, lo è solo in parte: ci abituano a vedere, a pensare, una politica a tratti squallida, a tratti vuota, finalizzata a se stessa o agli egoismi dei singoli. Molto spesso li lasciamo fare, ancor più spesso cerchiamo d’inserirci negli stessi meccanismi confidando siano gli unici che ci permettano di esprimerci. 

Altre vie ci sono: creare dibattito, discussione, dar vita a idee ed opinioni. E’ verso la “coscienza sociale” che il nostro impegno deve andare per riscattare il termine “politica” dal vuoto in cui l’abbiamo lasciato cadere. O, almeno, questa è la mia idea.

Alessio Mazzucco

domenica 10 maggio 2009

Primo Congresso FGS Lombardia



Si è svolto oggi il primo Congresso della FGS Lombardia. Grazie a Radio Radicale è possibile acoltare e scaricare i lavori congressuali.Ecco il link:



Vignetta per gentile concessione di Mauro Biani ( http://maurobiani.splinder.com/ )

giovedì 7 maggio 2009

Liberalismo e Socialismo

In questo Paese ormai si spacciano tutti per liberali. Ma lo sono davvero? Non è che forse gli unici rimasti sono proprio, strano a dirsi, i socialisti? Un’affermazione del genere potrebbe parere assurda, risibile. Ma non lo è affatto, se mi si lascia spiegare di che stiamo parlando.

 

Non è troppo difficile spiegare il Liberalismo e il Socialismo, a patto di non indagarne l’evoluzione storica ed invece descriverli per quello che, ora e adesso, rappresentano questi due termini per le parti politiche e moderate che vi si riferiscono.

 

Entrambe sono correnti di pensiero politiche riguardanti lo Stato: come andrebbe ordinato, gestito e come dovrebbe rapportarsi coi cittadini.

Il Liberalismo prescrive uno Stato dove tutti siano uguali di fronte alla legge, dotati degli stessi diritti e degli stessi doveri. Quello che maggiormente conta nel Liberalismo è che nessuno categoria di cittadini possa avvalersi del potere di dettar legge sul resto della popolazione spezzando quindi l’equilibrio assicurato dallo Stato liberale detto anche, per il suo accento sull’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, Stato di diritto.

 

Al di fuori dei diritti che lo Stato difende e dei doveri che impone i cittadini sono assolutamente liberi di rapportarsi fra loro come vogliono, dandosi da soli le norme necessarie a regolare i reciproci rapporti. L’idea alla base di questo “lasciar fare” è che, una volta posto lo Stato a impedire sopraffazioni, gli esseri umani lasciati liberi d’agire possono realizzare ciascuno al massimo le proprie capacità raggiungendo nella società quelle posizioni che il loro merito, e solo questo, permette loro di raggiungere dando vita ad una società meritocratica ed autoregolante.

 

Le stesse idee sono alla base del libero mercato, espressione economica del liberalismo: le persone lasciate libere di produrre e comprare quello che vogliono sono in grado di dare vita a un mercato dai prezzi moderati e dall’alta qualità. La concorrenza fra liberi imprenditori nella gara per conquistarsi il favore degli acquirenti instaura un circolo virtuoso nel quale i prodotti e i servizi possono solo migliorare, e di conseguenze il benessere sociale crescere.

 

Il Socialismo, inteso nella sua accezione riformista e democratica, si inserisce sulla base del Liberalismo come un suo perfezionamento. Col tempo sono difatti emerse delle mancanze nello schema proposto dal Liberalismo.

Lo Stato di diritto assicura che nessun cittadino possa essere superiore all’altro nel potere politico, cioè capace di imporsi legalmente con la forza, ma non elimina le differenze, spesso pesanti, dettate dallo squilibrio del potere economico, la capacità di imporsi sugli altri attraverso la propria ricchezza o il proprio controllo dei mezzi economici. Il tutto è riassumibile nella frase: lo Stato di diritto assicura un’uguaglianza formale (di fronte alla legge), ma non sostanziale (una uguaglianza di mezzi).

 

Il Socialismo in Europa è la corrente di pensiero principe di chi mira alla creazione di uno Stato sociale. Lo Stato sociale è uno Stato che combina le caratteristiche di uno Stato di diritto (quindi liberale) con una serie di politiche sociali che mirano ad assicurare a tutti i cittadini gli stessi mezzi e uguali possibilità di far valere il proprio merito o, quanto meno, di condurre una vita dignitosa.

 

Un’uguaglianza di mezzi ovviamente non presuppone una uguaglianza di risultati.

Il Socialismo interviene a correggere quelle conseguenze estreme del “lasciar fare” liberale che porterebbero, e in alcuni casi hanno portato, a lasciar fuori dall’istruzione, dalla sanità, dal lavoro e dai servizi fondamentali persone meritevoli (o nel caso di sanità e servizi bisognose) ma che non sono nate dotate dei mezzi necessari ad accedervi secondo le regole di mercato (ad esempio, se l’istruzione fosse privata, chi non ha i mezzi minimi per pagare anche il più economico degli istituti) e per questo sarebbero bloccate e impossibilitate a coltivare ed esprimere il proprio potenziale (se una persona non riesce ad istruirsi non svilupperà mai capacità tali da accedere a un buon lavoro e corre anche il rischio di non trovare neanche un lavoro privo di requisiti, magari perché in concorrenza con tutti gli altri poveri non istruiti).

 

Il Socialismo ha come punto centrale creare meccanismi per i quali nessun cittadino venga lasciato morire nella indigenza e tutti possano essere forniti dei mezzi base necessari per gareggiare in concorrenza con gli altri cittadini nel lavoro e nella vita.

 

Inoltre il Socialismo, sempre nell’ottica di giungere se non ad una uguaglianza sostanziale (utopia impossibile) quanto meno a un livello minimo di mezzi per tutti) si occupa altresì di regolare il mercato facendo sì che nessun soggetto, o cerchia di soggetti, possa arrivare a detenere un potere tale da riuscire a falsare il gioco della concorrenza e che nessuno degli imprenditori del mercato approfitti della categoria debole del mercato stesso, il consumatore, oggi sottoposto sempre a tutta una serie di inganni e soprusi anche molto sottili.

 

Così come il Liberalismo si fonda sul principio del monopolio del potere politico da parte dello Stato, che per il resto risulta “leggero”, quasi assente nella vita dei cittadini, il Socialismo si fonda su un suo principio che possiamo definire della solidarietà sociale, ovvero dello Stato che si pone nei confronti della società come un regolatore di contrasti che, ricevendo costante supporto dalla Società principalmente attraverso le tasse, ridistribuisce le proprie risorse offrendo a tutti i servizi essenziali e agendo a favore delle componenti della Società che da sole non riuscirebbero ingiustamente a dimostrare il proprio valore.

 

Ma perché lo Stato sociale possa attuarsi è necessario che costruisca su uno Stato liberale solido. Per questo si può dire che, in un Paese dove chi sventola la bandiera del Liberalismo agisce sistematicamente contro il libero mercato, dove chi dovrebbe difendere il merito nel mercato non fa niente per risollevare i piccoli imprenditori aiutando sempre i soliti nomi, dove chi dovrebbe assicurare la neutralità dello Stato di fronte alle scelte di vita dei cittadini si intromette costantemente nella sfera più private ed intime del cittadino invadendone la coscienza e la disponibilità del proprio corpo e dei propri beni, dove chi invoca la massima giustizia continua a tenere il sistema giudiziario alla catena senza risolverne i molteplici problemi, i Socialisti sembrano essere gli unici Liberali rimasti, desiderosi di uno Stato di diritto degno di questo nome e di un libero mercato vero e non artefatto, abitato da cittadini liberi di gestire se stessi senza costrizioni che non siano dettate dal buon senso.

Il fatto che ormai siano i Socialisti a tenere in mano questo testimone, quello dello Stato di diritto, dovrebbe dare da riflettere, oltre ad essere per molti uno spunto utile dal quale partire per della sana autocritica.

 

Alla prossima

 Marco Parini

mercoledì 6 maggio 2009

Prima Campagna Volantinaggio FGS Milano


Ecco a voi il primo volantino a colori della Fgs Milano!!!
Aiutateci anche voi in questa campagna per la Libertà!!!



fgsmilano@gmail.com

Marco Alberio ospite di SJO - Giovani Socialisti Austriaci al Seminario sull'antifascismo


Marco Alberio della Segreteria Nazionale FGS parteciperà al seminario sull'antifascismo organizzato da SJO- Giovani Socialisti Austriaci, sul tema dell'antifascismo.
Il seminario si svolgerà ad Attersee, nei pressi di Salisburgo, dal 7 al 10 Maggio e avrà come obiettivo principale quello di definire un'azione comune dei movimenti socialisti europei, per agire politicamente e culturalemente, arginando il dilagante fenomeno del neofascismo, neonazismo e più in generale degli estremismi di destra.

giovedì 30 aprile 2009

PRIMO CONGRESSO FGS LOMBARDIA




Il giorno 10 Maggio,a partire dalle ore 10.00, presso le ex cucine economiche in via Montegrappa 8, si terrà il congresso fondativo della FGS Lombardia. Siete tutti invitati.
Saranno presenti ed interverranno Luigi Iorio, segretario FGS nazionale, Pia Locatelli, eurodeputata, e numerosi altri ospiti del mondo politico giovanile.
Partecipate numerosi!!!



Per ulteriori informazioni potete scriverci un' e-mail a fgsmilano@gmail.com

mercoledì 22 aprile 2009

TESTAMENTO BIOLOGICO

Consulta di Bioetica - Sezione di Verona
COMUNICATO STAMPA
TESTAMENTO BIOLOGICO O TESTAMENTO IDEOLOGICO?
Verona, 2 aprile 2009


Il 26 marzo il Senato ha approvato il disegno di legge Calabrò sul testamento biologico. La legge è stata blindata dalla maggioranza, che non ha accolto nessun emendamento proposto dall’opposizione, svuotando di qualsiasi significato l’attività del Parlamento. Il testo trasmesso ora alla Camera dei Deputati presenta norme ancora più rigide di quelle già in precedenza contestate.Una legge antidemocratica e incostituzionale.
La legge Calabrò è antidemocratica perchè vìola le libertà dei cittadini. Infatti prevede che idratazione e nutrizione artificiali (sondino naso-gastrico) siano obbligatorie sempre e per tutti i pazienti, coscienti e incoscienti. Nonostante l’intera comunità scientifica internazionale e italiana ritenga il sondino naso-gastrico una terapia medica, un atto sanitario, così non è per questa legge, che lo indica genericamente come forma di sostegno vitale, e come tale il medico non lo può negare a nessuno. Inoltre il DDL prevede che non possano essere interrotte le terapie già intraprese, quando questa interruzione può causare la morte. Dal DDL approvato sono scomparsi anche molti riferimenti alla figura del fiduciario, ridotto nel suo ruolo teso a far rispettare le volontà del paziente.
Questa legge non tutela la libertà di cura, ma obbliga alla salute, obbliga a vivere indefinitamente, anche senza alcuna speranza di ripresa.
E’ chiaro a tanti giuristi come questa sia una legge incostituzionale, dal momento che contrasta con l’art. 13, che sancisce l’inviolabilità della libertà personale, e l’art. 32, che garantisce il consenso informato (previsto anche dall’art. 34 del Codice di Deontologia Medica), ovvero la tutela del diritto di acconsentire e di rifiutare gli interventi chirurgici, i farmaci, ecc., anche quelli salvavita, cioè quelli senza i quali può sopraggiungere la morte.
Una legge contro il testamento biologico
Questa legge è antistorica perché ci allontana ancora una volta dall’Europa, dal biodiritto comunitario e internazionale che sancisce il diritto all’autodeterminazione del paziente come prioritario rispetto al dovere del medico di curarlo. Nei paesi dell’Unione le leggi sul testamento biologico ci sono già da tempo (Belgio, Olanda, Francia, Spagna, Germania, Inghilterra), e in tutte si ribadisce il diritto del paziente di acconsentire o di rifiutare le cure. Questo è il motivo che ha
portato alcuni di noi a chiedere una legge sul testamento biologico anche in Italia: per non doversi
più appellare al diritto sovranazionale e per dare, una volta per tutte, valore legale alle volontà
anticipate di trattamento, quale atto di responsabilità. Chi avrebbe invece immaginato che l’esito
sarebbe stato esattamente l’opposto? La legge Calabrò non lascia margini di dubbio: il testamento biologico non è vincolante per il medico che ha in cura il paziente. Il medico deciderà se tenerne conto e, in scienza e coscienza, potrà disattenderlo (paternalismo medico).
La legge Calabrò non è una legge sul testamento biologico, è un’anti-legge: un manifesto ideologico che ha come finalità far sì che gli italiani non compilino la propria dichiarazione anticipata di trattamento perché, tanto, potrebbe sarebbe inutile.
Ma allora che senso ha ribadire nel testo della legge il riconoscimento del consenso informato, se poi decide il medico e non il paziente? Che senso ha scrivere che si riconosce e si garantisce la
dignità della persona in via prioritaria rispetto all’interesse della società e alle applicazioni della
tecnologia e della scienza, se poi l’introduzione per via orale o chirurgica del sondino naso-gastrico
e di conseguenza di farmaci, proteine, elettroliti, ecc., non li si può rifiutare? Senza considerare che per alcuni pazienti malati di tumore in stato terminale, l’idratazione comporta un aumento delle sofferenze e può addirittura accelerare la morte. Ma a chi ha scritto e votato questo DDL ciò non è interessato. Nutrire e idratare sempre, anche quando il corpo naturalmente rifiuta. Anche nei pazienti naturalmente incapaci di assorbire. D’altronde l’obiettivo non è certo quello di fare una legge che aiuti le persone.
Stiamo assistendo alla trasformazione dello stato democratico in uno stato etico, che impone per
legge cosa è bene e cosa è male per le nostre anime ed i nostri corpi. Lo stato italiano potrà (dovrà) sequestrare i pazienti per tenerli in vita artificialmente ad oltranza, attraverso l’introduzione forzata del sondino naso-gastrico e il mantenimento di cure e terapie non volute, contro la loro volontà.
Vita indisponibile o disponibile?
La mia vita è indisponibile da me, ordina oggi lo Stato Italiano, nel momento in cui desidero che
la natura faccia il suo corso e mi conduca alla morte (esito, tra l’altro, al quale nessun essere vivente
può sfuggire), ma pare molto ben disponibile da parte della politica, che mi trattiene a forza in
ospedale contro la mia volontà, anche se espressa pubblicamente e convalidata da un notaio. Certo, chi desidera essere tenuto in vita artificialmente va protetto e tutelato. Nessuno vuole “staccare la spina” a nessuno. Ma, allo stesso modo, chi, in coerenza con le sue personali convinzioni, non lo desidera, anch’egli andrebbe protetto e tutelato in uno stato democratico.
In questo nostro paese sempre più illiberale, la speranza è che vecchi e nuovi politici si accorgano che la bioetica non è una materia come tutte le altre. Essa tocca l’intimo di noi, del nostro modo di sentire e vedere la vita, il mondo, la morte. L’auspicio è che comprendano che nessun politico si può sostituire alla coscienza altrui, se davvero è democratico e laico il modello di stato nel quale vogliamo vivere.
Il principio della laicità è l’unico che garantisce il dialogo tra le diverse etiche e la necessaria separazione tra la morale e il diritto. La difesa del pluralismo etico e bioetico è specchio della buona democrazia, dove si tutela la libertà di pensiero e di espressione, si stimola il confronto, si cercano principi comuni sui quali fondare l’agire politico, si sensibilizzano i cittadini ad essere attivi partecipatori dell’arena sociale, si tutelano i diritti fondamentali dell’uomo nella consapevolezza che nessuno, nel castello della vita, ha le chiavi che aprono la porta della verità.


Consulta di Bioetica - Sezione di Verona

I Coordinatori
Sara Patuzzo
Alberto Turco

venerdì 17 aprile 2009

LA “QUESTIONE SICUREZZA” NELLE CITTA’

Che cos’è la “questione sicurezza”? Dietro questo macroproblema forze politiche e idee contrapposte si scontrano su un campo non certo semplice. Dal bombardamento dei media, alla propaganda politica, alla paura che si diffonde in una società sempre più aperta e globalizzata, la “questione sicurezza” sfugge da chiare definizioni. Ognuno può interpretare e reinterpretare gli eventi a suo modo, dando visioni diverse, contorte o distorte.
Nel panorama politico italiano la “questione sicurezza” ha rappresentato uno dei capisaldi della lotta politica delle destre. Cavalcando l’onda di una società spaventata, partiti come la Lega sono riusciti a conquistare fette di elettorato sempre più consistenti e le campagne elettorali ne hanno fatto un punto cardine. Da destra si richiama l’ordine, la polizia, il manganello, le ronde. E’ una risposta: portare agenti e controllori nelle strade così che le persone possano essere tenute al sicuro da aggressioni, rapine o peggio. Da sinistra si sottolineano i dati in diminuzione di rapine e crimini più svariati, ma una risposta chiara, forte e precisa non si è mai sentita. Vi è un’idea, però, in cui si ritrovano tutti coloro che per appartenenza si definiscono “di sinistra”: la società recupera la criminalità, la società deve guarire se stessa.
Il problema a cui io voglio giungere non è come un partito piuttosto che un altro reagiscano alla “questione sicurezza”, ma cos’è veramente la “questione sicurezza”. Ebbene: io penso si tratti di percezione. Percezione perché? Perché non è la rapina che ci mostrano al TG, né i dati in diminuzione dei crimini più diversi a misurare quanta sicurezza ci sia nelle strade e nelle città. La “questione sicurezza” riguarda tutte quelle persone che non si fidano più, che hanno paura a uscire di casa o a incamminarsi in strade conosciute come “malfamate” o rimanere sole di notte ad una certa ora. La questione sicurezza non è il ladro che mi minaccia, ma la percezione che ho io nell’incamminarmi in strada di giorno, di notte, a qualsiasi ora. La percezione che un tempo era individuale, è divenuta in questi ultimi anni fenomeno di massa: l’intera società, ora, si sente insicura per strada. Vi chiedo perdono per quante volte userò ancora il termine “percezione”, ma è il concetto fondamentale intorno al quale voglio scrivere.
Non vi è dubbio che i media altro non hanno fatto che aumentare questa percezione diffusa (e non intendo parlare dei politici, che su questo argomento si costruiscono carriere intere), ma la risposta non è controbattere, controbattere sempre alle proposte e ai dati di una parte o dell’altra. La risposta è lavorare per la società, e cancellare la sua “percezione diffusa”. E questo è l’altro grande passo: come si può cancellare un concentrato di paura e percezioni negative? Non di certo formando ronde, né mandando i militari per le città. Queste mosse possono cancellare il problema in una strada, in una zona per tutto il tempo in cui passano i vigilantes, poi che accade? Le persone si sentono più sicure perché ci sono più manganelli o stivali militari che calpestano il suolo? Non credo.
In strada devono esserci le persone, i cittadini, i veri abitanti delle città. Quando la sinistra parla di “risolvere il problema sicurezza attraverso la società” non lancia parole al vento (sto usando sinistra senza nominare alcun partito: sto parlando delle idee che formano il sostrato di quella macroarea che chiamiamo sinistra), né guarda in modo astratto il problema dandone una risposta altrettanto astratta: la sinistra parla di un’idea, ovvero l’idea che siano i cittadini a creare sicurezza per se stessi.
Mi spiego. Una zona, una strada, un intero quartiere non deve essere lasciato a se stesso, ma deve essere “coltivato”, migliorato, usato, sfruttato. Utilizzate qualsiasi termine possa sostituirsi ai precedenti: ciò che voglio dire è che dobbiamo usare gli spazi che sono nostri, poiché noi siamo cittadini e la città è formata da persone, non da strade e cemento.
Le zone dove la percezione di sicurezza è maggiore si dividono in due grandi gruppi: le zone illuminate dai fari delle auto della polizia, e le zone dove le persone escono, girano, passeggiano, si trovano o si divertono. Io preferisco le seconde. Dove ci sono le persone, non si sviluppa la criminalità. Dove c’è vita non c’è delinquenza. E’ un assunto abbastanza verosimile.
Ricollego quindi tutto. La “questione sicurezza” si basa sulle percezioni della società. Se una società percepisce l’insicurezza di un luogo, questo luogo verrà lasciato a se stesso, abbandonato per trasformarsi in qualcosa di effettivamente insicuro. Quali sono gli strumenti che possono ricostituire un tessuto sociale sicuro e vivibile e invertire la tendenza delle percezioni? Le persone. Le persone come mezzi e come fini: impegnarsi tutti per migliorare la propria qualità di vita. Le persone possono uscire, possono ritrovarsi, possono creare un tessuto sociale non minato da piccoli o grandi criminali. Come? Uscendo di casa, fare della propria zona, della propria strada, della propria città il proprio spazio vivibile, la propria casa. Senso civico, luoghi di ritrovo e divertimento, voglia di creare qualcosa: ecco la combinazione che io considero vincente.
Ho scritto tanto mi sono ripetuto troppo. Ho parlato in astratto, questo è vero; ora voglio scendere nel caso concreto. Provo con una proposta. In una zona non vi sono né pub né punti di ritrovo; le persone non escono e hanno timore a ritrovarsi sole perché non vi è nessuno per strada. C’è un locale in disuso che nessuno ha più utilizzato; oppure c’è un edificio al cui interno troviamo una sala completamente libera. Magari gli abitanti del posto si sono sempre rifiutati di accogliere pub o locali per evitare rumori notturni. Cosa farne però di quella sala? Le idee sono molte: un luogo di ritrovo, un piccolo cinema, un teatro dove giovani compagnie propongono i loro spettacoli. Perché no? Cultura, divertimento, magari anche solo un punto di riferimento per una serata che non si sa come passare. La gente comincia ad uscire, le persone cominciano ad utilizzare quelle strade che sono loro di diritto. Si crea un circolo virtuoso: magari qualche bar rimane aperto fino a tardi, magari una coppia decide di farsi una passeggiata senza doversi preoccupare dell’ora o del posto, magari i giovani della zona si ritrovano in un punto di aggregazione annullando la fredda indifferenza di tutti i giorni. La mia può essere una proposta semplice, banale, magari può anche non piacere. Ma le proposte possono essere maggiori, possono crescere e svilupparsi, da un piccolo seme ad una maestosa quercia. L’importante è volerlo.

Alessio Mazzucco

BIBLIOTECHE RIONALI

La funzione sociale delle biblioteche è storicamente sottostimata e non si esaurisce certo nel seppur importante spazio attrezzato e adibito alla lettura o allo studio che esse offrono. Le biblioteche sono anche uno luogo di socializzazione e scambio significativo, fruibile non solo dagli studenti ma anche da un’utenza maggiormente variegata.Le biblioteche rionali svolgono poi un non trascurabile compito di valorizzazione del territorio, che in una città ad alta densità periferica come Milano, sarebbe sciocco non considerare.
Solo poche, troppo poche, biblioteche hanno orari elastici e sono in grado di garantire un servizio efficiente e completo ai cittadini.Attualmente i numeri sono sconfortanti, solo cinque biblioteche su ventisei offrono un orario notturno, chiudendo peraltro alle ventidue.Discorso a parte poi per l'apertura domenicale, che non è prevista per nessuno dei ventisei casi già citati.Risulta quindi evidente come possa essere difficile, se non addirittura impossibile, la fruizione degli importanti servizi delle biblioteche da parte dei tanti studenti-lavoratori presenti a milano.
Noi chiediamo che venga consentito ad un maggior numero di biblioteche rionali l'adozione di un esercizio serale.Chiediamo inoltre che venga incentivata l'apertura domenicale.
Sviluppare questo importante servizio comunale significa essere vicini alle esigenze dei cittadini, significa riabilitare spazi periferici degradati, significa rispondere a problematiche importanti in maniera propositiva ed efficiente.Una buona amministrazione dovrebbe farlo, noi ci impegneremo affinchè lo faccia.