martedì 26 maggio 2009

Riflessioni sull’Università

Si parla nuovamente di università e inevitabilmente scoppia la polemica. Supportata, questa volta, dalla guerriglia urbana. Perché queste sono le notizie che giungono da Torino: cariche, bastonate, sassi, uova che volano, scontri. 
Si parla di Università e i giovani insorgono. O, almeno, una parte dei giovani. Non capisco. Quando l’Università è un argomento che non tira e non compare sui giornali nessuno ne parla; al primo accenno scoppia il putiferio, le grida e le urla si moltiplicano. E’ un argomento caldo. Anzi, rovente. Sull’Università si basa la “scommessa” sul nostro futuro, su noi stessi. Cosa intendo? Ricercatori, studiosi, professionisti, dirigenti, professori, ecc.. Senza di loro, senza di noi studenti, manca una parte notevole della forza propulsiva di un Paese. Eppure, da noi, questo luogo di riscatto e formazione è minato in più punti alle fondamenta.
Durante la conferenza dei Rettori a Torino, riporta il Corriere della Sera, l’idea che spicca è la considerazione che si ha del sistema universitario come “fattore strategico” e del tentativo di ricercare soluzioni ai gravi problemi e debolezze che l’attraversano. Come rispondono i giovani? Urlano? No: troppo facile confondere le frange estremiste con gli studenti che nell’Università credono, sperano, s’impegnano. No: noi stiamo in silenzio. E’ questo il problema, è questa la grave situazione dell’Università: le idee ci sono, molti ne hanno e magari tra loro ne parlano, ma nessuna voce si leva. Si discute, magari a gruppi, ma nessuna proposta arriva in alto. 
L’intenzione di una riforma dal basso è meravigliosa. Spingere gli studenti a discutere, farne la propulsione, la fucina di idee nuove ed innovative sarebbe il punto di svolta. Problema: chi urla e ha la voce grossa copre gli altri. E molto spesso chi urla e ha la voce grossa confonde la lotta per la conservazione delle briciole come la rivoluzione, la guerriglia urbana come il tramite più efficace di discussione. Gli obiettivi si perdono, si confondono, scompaiono tra i vortici dell’ideologia e dell’ignoranza. Parole vuote, frasi miopi coprono idee geniali, innovative, tentativi di sfuggire agli schemi di sempre. Propongo un esempio: ricordiamo tutti i fatti di Ottobre-Novembre 2008? Sembrava un nuovo ’68 con tanto di manifestazioni e occupazioni continue. Senza entrare nel merito della forma e dei risultati della protesta, ricordo contro cosa si protestava: la riforma Gelmini. Come si può sperare di portare cambiamento quando si confondono gli obiettivi della protesta? Qualcuno alzò la voce quando i tagli (quelli veri) si inserirono silenziosamente nella Finanziaria votata in estate di quell’anno? No. Ma quando apparve la legge 133 il cui articolo della ministra dell’Istruzione prevedeva la possibilità di trasformazione degli atenei pubblici in fondazioni private, scoppiò la rivolta. Rivolta che, per quanto ricordo, non portò proposte o nuove idee. Non entro oltre nel commento delle vicende: né la Finanziaria né la Gelmini mi convinsero che l’attuale Governo stesse lavorando per migliorare l’Università pubblica. E oggi non ho certo cambiato idea.
L’idea è questa: quali modi, quali mezzi, quali strumenti per migliorare l’Università? Per incrementare efficienza, meritocrazia, ricerca e formazione, come agire? Io parlo, ad esempio, di Università a numero chiuso per tutte le facoltà fino ad un tetto massimo di assorbimento da parte dell’Ateneo: aumenta l’efficienza (aule meno affollate, burocrazia più snella, meritocrazia più efficace..). Ma è solo una proposta, una delle tante che si possono discutere. Io ne posso immaginare qualcuna, tutti noi ne possiamo portare altre, ma qual è, alla fine, la voce che di noi si sente? La guerriglia urbana? Le urla? Le grida confusionarie di ideologie o preconcetti immutati da troppo tempo? 
Possiamo permetterci di più, volare più in alto con il pensiero, fare proposte più audaci, creare un dibattito migliore tra tutti noi. O, almeno, questa è la mia idea.

Alessio Mazzucco

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